mercoledì 11 febbraio 2015

La versione di Alessio - 3

Ah beh

L’ho guardata salire in casa e sono rimasto fermo in macchina. Mi sono costretto a ragionare come un trentenne che fa il medico e non come un ragazzino alle prime armi ma non ce l’ho fatta. Ho preso il telefono, l’ho cercata e le ho mandato una richiesta di amicizia.  
Ho cercato di trovare un sistema per porre fine al casino che aveva creato ma non ha funzionato. Non ha funzionato guardare le sue foto, scoprire qualcosa in più di lei, cercarla tra le parole scritte agli amici, tra i post condivisi, tra le pagine che seguiva. Non è servito a niente se non a farmi andare a dormire con un gran nervoso. Per questo la mattina dopo le ho scritto e le ho detto della festa in Sant’Agostino, la festa alla quale speravo tanto che venisse. Se non l’avesse fatto forse mi sarebbe passata, se non mi avesse risposto forse avrei smesso di stare in palla, ma volevo che ci fosse.
Quando è arrivata, vestita in modo così semplice da far sembrare tutte le altre delle marionette, ho capito che non avevo aspettato altro che arrivasse.
Mi stava rovinando e io dovevo trovare un rimedio. La questione andava risolta. 
Un sorriso mi si è aperto sulla faccia mentre andavo verso di lei. Aveva un’espressione intelligente che mi divertiva e che mi faceva dimenticare quanto poco seno avesse. 
«Ciao», l’ho salutata.
«...»
«Sei venuta.»
«Mm mm.»
«Ti va di fare due passi?»
Dovevo portarla via da lì. Dovevo porre fine a tutto prima di diventare uno di quei cretini che perde talmente tanto la testa per una ragazza da non ricordarsi nemmeno più il suo nome.
Istintivamente, senza pensarci troppo, le ho preso la mano e l’ho trascinata fuori dall’ammasso di umanità in cui ci eravamo trovati. Il contatto con la sua pelle mi ha scottato, o forse ero io che scottavo.
Gliel’ho lasciata una volta entrati in Corso Italia. Io non sono il tipo che prende la mano di una ragazza perché farlo significherebbe che ho voglia di… non lo so. Non sono il tipo che prende la mano di una ragazza e basta. Forse perché non voglio che pensino che tra noi potrebbe esserci qualcosa. Io non voglio che ci sia niente, non voglio finire come i miei genitori e non ho intenzione di ritrovarmi solo. Fin’ora è stato abbastanza facile. Nessuna mi ha mai fatto venir voglia di altro che non fosse la superficie. Doveva continuare a essere in quel modo. Volevo rimanere in superficie. Dovevo rimanere in superficie.
Era una serata in cui la città era stranamente piena di gente però una volta usciti dalla zona calda camminare e parlare è stato facile. Parlare, soprattutto. Eravamo come un torrente in piena. Io lo ero e lei mi seguiva, e quando parlava, e parlava più di quanto avessi immaginato, aveva sempre la risposta giusta, sempre l’idea sfiziosa, sempre la proposta funzionale. Per questo quando siamo arrivati al Duomo e ci siamo messi a sedere sulle scalinate, abbastanza vicini da farmi ben sperare, gliel’ho detto.
«È facile con te.»
«Cosa?»
«Parlare.»
«…»
Ha contratto la bocca cercando di reprimere un sorriso ma io non me lo sono fatto scappare. 
«Non ti ho ancora chiesto quanti anni hai.»
«28. Tu?»
«30», ho detto, poi mi sono messo a ridere. «Nessuno dei due l’ha scritto sul suo profilo.»
È stato lì che ci ho provato di nuovo. Mi sono avvicinato a lei e ho sperato, quasi pregato ancora una volta che ci stesse. Bum, bum, bum. Il mio cuore martellava e le mie labbra la bramavamo ma… si è girata. 
Aveva deciso di uccidermi lentamente. 
Mi è scattata una risatina e ho sperato di aver celato ancora una volta la delusione che provavo dentro. «Ok, perché?» ho domandato.
«…»
«Perché ogni volta che provo a baciarti ti sposti?»
Lei non ha risposto così sono andato avanti. «Dimmelo, ti prego. Ho bisogno di capirlo.»
«…»
Volevo una risposta a tutti i costi e il fatto che lei non dicesse niente avrebbe dovuto innervosirmi ma non faceva altro che farmela piacere di più.
«…»
«Non mi è mai successo prima.»
«Quindi è una questione di orgoglio», ha detto sincera e triste.
«No, è che… perché?»
«Perché mi piaci.»
Ho fatto un sorriso da cretino e non ho provato nemmeno per un istante a mascherare quanto mi avesse fatto piacere sentirglielo dire.
«E se uno ti piace non lo baci?»
Ha arricciato il naso e mi ha preso la mano. Io ho spalancato gli occhi, tra l’intimorito e il gasato, lei ha appoggiato le dita sul suo polso.
«Ascolta.»
«Il tuo cuore?»
«Mm mm», ha mugugnato. Aveva gli occhi chiusi mentre il suo cuore batteva sulle mie dita.
«È veloce.»
«Mm mm.»
Ho spostato le falangi, ho preso la sua mano, fresca e delicata, e l’ho messa sul mio petto. Quel contatto mi è sembrato così intimo da aumentare ancora di più i battiti. Una mano sul petto, intima? No, ero più che fregato.
«Che fai?»
«Ascolta.»
«Il tuo cuore?»
«Mm mm.» Le ho rifatto il verso ma lei non è sembrata arrabbiata.
«È veloce anche il tuo.»
«Perché mi piaci», ho spiegato. «E mi piacerebbe baciarti.»
Non poteva capire quanto volessi baciarla.
«Ci conosciamo solo da pochi giorni.»
«Abbiamo 30 anni, non 15. Devo fare richiesta in carta bollata?»
«No?»
Non ce la potevo fare. Non potevo andare avanti in quel modo.
«Ho voglia di baciarti adesso.»
Lei non rispondeva, non si muoveva. Mi guardava e basta. Capivo che era in difficoltà e mi dispiaceva, ma anch’io ero in difficoltà. E io non sono mai in difficoltà. Mai.
«Perché non vuoi?»
«…»
«Dammi una ragione.»
«Sei bello, da morire. Sei intelligente, sei simpatico. Hai tutte le donne che vuoi. Ne hai avute e ne avrai. Non voglio essere una di quelle.»
Cxxxo, se mi ha spiazzato. Quando mai una ragazza appena conosciuta ti dice che non vuole baciarti per un motivo del genere?
«Non vuoi essere una di quelle?»
«Non voglio essere una delle tante», ha spiegato.
«Pensi di esserlo?»
«Lo sono sempre.»
Mi ha fatto male. Sentirglielo dire in quel modo, con quella voce malinconica, mi ha fatto male. Appena la conosco e l’idea che qualcuno l’abbia fatta sentire una delle tante mi fa arrabbiare.
«Nemmeno io voglio essere uno dei tanti.»
Cosa mi stava succedendo?
«Non lo sei. Mi piaci.»
«Ah beh. Che vuol dire? Non ti è mai piaciuto nessun altro prima?»
«No. Non così.»
Mi ha spiazzato ancora. «Ah.»
Mi sarei dovuto fermare. Non volevo ferirla e non volevo ferire me, però l’idea di non vederla più era inconcepibile.
«…»
«Non vuoi più uscire con me?»
Se mi avesse risposto che non voleva mi sarei sentito da schifo ma almeno sarebbe finita. Se mi avesse detto di sì mi avrebbe fatto felice, ma non sarebbe finita mai. E io avrei continuato a scottare.
«Ti va di uscire solo come amici?» ha domandato.
Quella poi, mai sentita. «Non lo so. Non credo. Se una ti piace come fai?»
«Mmm», ha replicato.
«Cosa?»
«Mmm.»
«Mi piaci», ho detto.
«…»
«Mi sembra di avere 15 anni. Non ho mai detto a una ragazza così tante volte che mi piace.»
«...»
«Esci con me», ho insistito. Che cretino. «Ti va di uscire con me?»
«Mm mm.»
Quanto era carina quando faceva quella cosa. «Che cos’è questo “mm mm”?»
«Non so, credo di essere difettata. Ogni tanto si blocca qualcosa.»
Mi sono messo a ridere come non mi succede quasi mai.
«Sei difettata, eh?»
«Penso di sì. È un modo per prendere tempo, credo. Un modo per non dover rispondere.»
«Perché?»
«Non saprei. Forse è solo un’abitudine. Quando cresci con tre fratelli maschi ti abitui a parlare poco. Se facevo discorsi troppo lunghi avevo l’impressione che smettessero di ascoltare. Così ho iniziato a mugugnare e alla fine è diventata una cosa normale. Per me. Un difetto per gli altri.»
«A me non sembra un difetto.»
«Mmm.»
«Ma lo moduli? Nel senso che puoi ummare con significati diversi?»
«Sì», ha risposto increspando le labbra.
«Allora, ti va di uscire con me?» ho provato ancora.
«Mm mm.»
«È un sì?»
«Mm mm», ha replicato sorridendo.

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