Faccio tanta, tanta fatica a dare un voto a un libro e non lo faccio se non merita almeno tre stelline/tazzine/tartarughine/caramelline. Parto sempre dal presupposto che un testo che a me non piace per qualcun altro è la storia del secolo e penalizzarlo solo perché non era il momento giusto per leggerlo o perché non mi ha colpito come avrei voluto non mi sembra corretto. Sono tentata di farlo solo quando gli errori di grammatica superano il limite consentito, e questo dipende dal fatto che il mio lavoro è strettamente legato alla grammatica. Io amo la grammatica e mi piace leggere, ad esempio, i congiuntivi. Il congiuntivo è così elegante che soffro quando viene usato un altro modo al suo posto. Sentite com'è altisonante "credevo che tu fossi..."
A volte succede che leggo dei libri niente male che però arrivano dopo la lettura più bella degli ultimi mesi e quindi è normale che questi passino in secondo piano e che il paragone non regga. È quello che mi sta succedendo nelle ultime settimane con tutto quello che leggo, arrivato dopo Avevano spento anche la luna. Ho scoperto questo libro per caso, in una pagina facebook, e ho deciso che lo avrei comprato. La copertina, il titolo e la trama mi avevano conquistata e ho fatto fatica a non andare subito in libreria. A volte mi impongo del tempo tra un acquisto e l'altro per digerire quello che ho appena letto ma raramente riesco a sfruttarlo. Nella maggior parte dei casi mi butto subito a capofitto su qualcos'altro perché non posso credere che ciò che ho finito, che era diventato come un amico, sia veramente finito.
Ho aspettato un paio di settimane e poi, stremata, sono andata in libreria, quella di Danfe e Alessio, tanto per intenderci. Non c'era, andava ordinato. Ho atteso un paio di giorni trepidante e ci sono tornata. Finalmente era arrivato e ho interrotto quello che stavo leggendo per lui. Non solo l'ho interrotto ma sono anche tornata a casa, il giorno dopo, in pausa pranzo per poterlo finire. Uno dei libri più belli che abbia letto quest'anno.
È il 1941 quando dottori, professori, scrittori, uomini, donne, bambini lituani, vengono deportati in un campo di lavoro in Siberia, quando inizia il viaggio che porterà tutte queste persone, e tante altre ancora, a vivere nel freddo, nel dolore, nel niente.
Mi piacciono i romanzi storici, anche quelli che raccontano fatti vicini a noi, anche quando sono terribili perché narrano una cruda verità, ma questo non è solo un romanzo storico. È un romanzo di denuncia, un romanzo che racconta uno dei tanti "eventi" che il mondo ha scoperto o combattuto in ritardo. È una storia che riporta la Storia attraverso gli occhi di una ragazzina che deve affrontare qualcosa di più grande di lei. Più grande di chiunque. La scrittura della Sepetys è favolosa, il suo modo di raccontare il dolore è sconvolgente eppure riesce a inserire la speranza, riesce a parlare di quella piccola, impercettibile, scintilla di felicità che brucia dentro chi è considerato sconfitto e che non lo è.
Non c'è molto altro da dire a parte che l'ho letto in un giorno e mezzo e che ho avuto le lacrime agli occhi dall'inizio alla fine.
Bello. Meriterebbe 10 stelle.
M.