lunedì 9 febbraio 2015

La versione di Alessio - 1

La ragazza del bar 

Chiuso in una cravatta troppo stretta e troppo lucida mi sono spostato da un gruppetto di medici all’altro, tentando di evitare la ragazza che mi ero portato dietro. Come avevo fatto a invitarla? Che cretino. Come se non avessi saputo quanto era appiccicosa.
Dispensando sorrisi a volontà in un casolare che ospitava una serata di gala con il primario del reparto di emergenza, mi sono mosso in cerca della finestra che mi avrebbe condotto verso la libertà. Mentre mi sbottonavo la giacca, prossimo alla meta, me la sono trovata davanti. Non la tipa appiccicosa ma lei, la ragazza del treno. La ragazza del bar. Mi sono accorto che il mio viso si stava aprendo in un sorriso mentre lei, dopo essersi bloccata nel mezzo del salone, ha cambiato strada. Cxxxo, come ci sono rimasto male. Più o meno come l’ultima volta in cui l’ho vista. La volta in cui mi è comparsa davanti all’improvviso, al bar, qualche giorno prima. Stavo solo facendo una panoramica della piazza e bum!, davanti agli occhi mi ritrovo la ragazza buffa che aveva la febbre. Avevo ragione. Non era semplicemente carina. Era bella, bella un casino. E forse anche un po’ matta. Non più di me, sicuramente, perché quella volta anch’io mi sono bloccato a guardarla con un sorriso da cretino. Mi sono costretto ad abbassare gli occhi, tanto per riprendere contatto con il maschio alfa che era in me, ma quando li ho riaperti era ancora lì, nella stessa esatta posizione, e allora ho sorriso. Poi è arrivato Flavio e si è dissolta.
In quel momento non avevo intenzione di lasciarmela scappare. Era strana da morire ma non potevo far finta che la sua stranezza non mi colpisse. La cravatta mi sembrava ancora più stretta mentre la guardavo. Il vestito che aveva addosso le stava così bene che mi faceva girare la testa. Nessuna mi fa girare la testa e nessuna mi fa bloccare come un cretino da qualche parte. Per questo ho smesso di stressarmi e l’ho seguita allo stand dei vini.
«Pinot grigio», ha ordinato lei.
«Certo signorina!» ha risposto il barista.
«Anche per me», ho aggiunto io.
Dafne si è voltata senza guardarmi ma io non mi sono fatto scappare i suoi occhi luminosi. Luminosi un casino. Così luminosi che ho fatto fatica a non restarci aggrappato.
«Ciao», ho detto.
«…»
Quando non mi ha risposto ho iniziato a entrare in paranoia. Io. In paranoia. Non è una storia che ho mai sentito raccontare, e sinceramente non la volevo sentire nemmeno in quel momento. Io non entro mai in paranoia.
«Non sapevo tu fossi la sorella di Flavio», ho sparato a caso per risollevarmi.
«…»
Perché non mi rispondeva?
«Esce con la Sassari, vero?» ho domandato.
«Credo di sì. A dire il vero non conosco il suo cognome ma suppongo sia lei. Per questo credo che tra poco me ne andrò.»
«E come?»
Ero convinto che in qualche modo l’avrei incastrata. Se solo fossi riuscito a baciarla ero sicuro che mi sarebbe passata la bambola in cui ero entrato. Se l’avessi portata a letto avrei anche smesso di pensare a farle richiesta di amicizia. Avrei smesso di pensare a quanto volevo il suo numero. Avrei smesso di pensare che ero come un quindicenne.
«In che senso?» ha domandato guardandosi le scarpe.
Perché non guardava me?
«Sei in macchina?» ho incalzato.
«Mio fratello sì, io no.»
«E come te ne vai?»
«... »
Perché non parlava? «Taxi?»
«...»
Era comunque uno spettacolo guardarla. «Cavallo?»
«Oh. Sì, a cavallo», ha replicato e i suoi occhi per un secondo si sono posati sui miei. Mi si è scombussolato tutto, compresi i pantaloni. Ho mascherato il subbuglio in cui mi aveva messo e ho sorriso.
«Ah sì?»
«...»
«Posso accompagnarti io, se ti va.»
Sì, accompagnarla poteva essere la soluzione a tutto.
«Oh! Se non ti scomoda.»
Quanto mi ha gasato sentirglielo dire. Poi mi sono ricordato della palla che mi ero portato dietro. Ma perché mi era venuta quell’idea così malsana?
«No, mi fa piacere. Sono con… un’amica. Accompagno anche lei.»
Dafne ha annuito e io mi sono voltato in cerca di Martina. Quella palla aveva un vestito da urlo che le metteva in evidenza il seno abbondante e non era male, per niente. C’ero già uscito una volta, ci sapeva fare, ma in quel momento avrei dato di tutto perché non venisse con me.
«Martina, puoi trovare un passaggio?»
«Cosa?» ha chiesto lei tutta stizzita.
Ma che pxxxe. Che pxxxe.
«Pensi di poter trovare qualcuno che ti accompagna a casa?»
«Perché?»
«Perché io devo accompagnare un’amica.»
Più o meno.
«Vengo anch’io, allora.»
«Ok», ho detto prendendo le chiavi dalla tasca. Perché me la ero portata dietro?
«Chi è questa amica?» ha domandato zampettandomi intorno. Non le ho risposto. Mentre camminavo ho visto Dafne e mi è passata la voglia di fare qualunque altra cosa che non fosse trascorrere l’intera serata con lei.

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