Con i tempi che cambiano anche la scrittura subisce mutamenti, siano essi sociali, culturali o stilistici. Uno di quelli che potrebbe notarsi di più, è linguistico.
La lingua, come tutto e forse più di altro, muta con il passare del tempo e tende ad adeguarsi allo scorrere.
Se si decide, quindi, di scrivere un libro, non si può non considerare questo punto. D'altro canto, quanto si legge, non si può negare quanto importante sia che in un libro ambientato ai nostri giorni ci sia un linguaggio adeguato e non una comunicazione altisonante o poco veritiera.
Una delle prime cose che saltano all'occhio in un romanzo, infatti, è il modo di parlare dei personaggi, non solo perché è fondamentale che sia adeguato al contesto sociale e storico (un adolescente avrà senza dubbio un modo di parlare diverso rispetto a un insegnante in pensione), ma anche per tenerlo al passo con le diverse realtà linguistiche che si vengono a creare nella società e che vorrebbero progredire in tutti i campi nello stesso momento.
Una di queste realtà è sicuramente quella dell'inclusività di genere, non solo nell'ambito della parità di genere, ma anche nel contesto gender stesso.
La nostra bellissima lingua italiana è, come tutte le sue sorelle e cugine romanze, caratterizzata da una distinzione di genere (maschile e femminile, ma anche numero, singolare e plurale) che tende al maschile. "Un uomo e una donna sono andati" (si considera la pluralità in senso maschile), "il ragazzo e la ragazza si sono vestiti", "un collega e una collega sono rimasti in ufficio".
Si tratta di un dato di fatto della nostra lingua, del nostro sistema, della nostra grammatica. E di certo non lo si può cambiare di punto in bianco, considerato che per arrivare a parlare e scrivere come facciamo oggi ci sono voluti svariati secoli, grammatiche storiche, diversi libri e qualche guerra di indipendenza, senza contare che è solo grazie alla televisione, che ci ha "insegnato" una lingua comune, che oggi tutti parliamo in italiano standard.
Quello che si può fare, però, è cercare, quantomeno in alcune situazioni, di utilizzare un sistema comunicativo più inclusivo. Nei social, ad esempio, si può ricorrere all'uso della schwa (ə) o all'asterisco finale che permettono di parlare a tutti indipendentemente dal genere. "Ciao a tuttə, come state?" Al posto di un "Ciao a tutti", che mette la figura maschile in risalto o un "Ciao a tutte", che è palesemente indirizzato a un pubblico femminile.
Certo, usarlo nella lingua parlata è un'altra storia, visto che far cadere la vocale finale non è né elegante né pensabile, almeno fino a ora.
Io ho provato a usarlo nella Social Series, anche se solo nell'ultimo volume, Sei solo tu, per far parlare Bakiss, una influencer che si occupa di gossip e che, a conclusione di ogni romanzo, racconta il futuro dei protagonisti dopo l'ultima pagina, una specie di cosa succede alla fine delle favole. Ho scelto di utilizzarlo in questo, e non nei precedenti, proprio per mostrare il cambiamento e come, anche lei che vive e dipende dai social, si sia adeguata alla novità poco dopo la sua comparsa (quantomeno in Italia).
L'artificio è stato possibile perché la storia e l'ambientazione lo hanno permesso, e non sempre è così. Ci sono libri che non ne hanno bisogno o che, al contrario, devono fare qualcosa di totalmente opposto.
La cosa interessante, però, è che anche la lingua, come tutto, finisce per adattarsi a nuovi modelli e riconoscimenti. Rimane solo da capire quanto, e per quanto.
Voi che ne pensate? Siete per una lingua più inclusiva o per una più tradizionale? Pensate che i libri si possano adeguare?
Vi aspetto nei commenti!
Monica
Sono d’accordo con te, una lingua inclusiva in un romanzo può rendere meglio la trama, ovviamente dipende sempre dal contesto, come nel tuo ultimo romanzo.
RispondiEliminaSì, ogni libro ha le sue necessità, è giustissimo assecondarle!
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