Mi sono imbarcata nel Romance Distopico due anni e mezzo fa. Quando ho iniziato non volevo scrivere una trilogia. Ci avevo già provato anni prima con l'urban fantasy e non è andata a buon fine. Quella storia travagliatissima, nata quando avevo 17 anni, non è riuscita a raggiungere la sua meta. Complice una certa mancanza di maturità nello scrivere, una costanza saltellante e una storia decisamente troppo complessa, finito il primo ho iniziato a titubare. A metà del secondo, ho chiuso tutto.
A questo punto voi potreste dire: Emmetonta, perché hai deciso di scriverne un'altra?
La risposta è semplice: non ho deciso. Non mi sono seduta a fare conti. Non ho diviso le parti. La storia è venuta fuori così.
Il fatto è che non sono un tipo da scalette. Prendo appunti, scribacchio idee, ma non faccio scalette. Se decido cosa far fare ai personaggi succede sempre qualcosa, strada facendo, per cui mi mandano in cxlx - yuppidu - e fanno quello che vogliono.
L'idea del Romance distopico è nata in qualche minuto, come un'illuminazione. E mi sono subito buttata a scrivere, convinta che sarebbe stato un autoconclusivo. Solo che mentre scrivevo mi sono accorta che avevo bisogno di mooolto più spazio perché quello che veniva fuori, l'idea che mi ero fatta, e che a quel punto era quasi del tutto formata, era molto più consistente di quello che credevo. Così l'ho diviso in tre parti. A voler essere precisi, l'ho fatto perché:
1. raccontare la storia sarebbe stato decisamente più semplice e mi avrebbe dato un certo respiro. Riconoscendo una suddivisione in tre parti, alla fine di ognuna avrei avuto il tempo necessario per fare il punto della situazione, capire cosa stava succedendo, domandarmi se le pieghe che stava prendendo funzionassero;
2. anche se ciò che scrivo, i romanzi che pubblico, hanno un numero di lettori che mi fa saltellare, rimango comunque un'autrice sconosciuta. Quelli che mi conoscono lo fanno perché scrivo romanzi rosa. Come autrice di fantascienza, non esisto. Uscire con un tomo di 600/700 pagine, autopubblicato o non, sarebbe molto, molto rischioso, visto che il genere è anche poco apprezzato dalle nostre parti;
3. se si inizia un progetto così importante non si può non pensare che potrebbe essere una ciofeca. Non per chi scrive - per noi è sempre e comunque magia - ma per chi legge. Potrebbe essere un flop. Chi lo crea pensa che sia un capolavoro ma chi lo scopre potrebbe trovarlo ridicolo. Dividerlo in tre mi permette di far leggere alle beta readerSSS ogni "capitolo" singolarmente, lavorando così sui singoli aspetti del tomo, e non sulla storia in totale, e dandomi modo di apportare modifiche. Nel primo, ad esempio, è venuto fuori che la protagonista aveva dei trascorsi non facili da accettare, e sono intervenuta lavorando su quello e dirigendo la storia nella nuova direzione per gli altri due.
Ora, il problema delle trilogie, a mio avviso, non sono le trilogie in sé. Il problema delle trilogie è che sono quasi sempre di generi che in Italia non raggiungono il risultato che raggiungono in altri paesi. La quadrilogia di Elena Ferrante, ad esempio, ha avuto un successo strepitoso perché il genere da noi funziona alla grande. Ma se si parla di fantasy e fantascienza si perdono pezzi. Si perdono lettori. Se sono trilogie, pure peggio, perché anche chi potrebbe provare a esserne incuriosito si perde d'animo.
Ma il problema non si può risolvere tagliando pagine. Riuscire a raccontare storie di realtà inesistenti in un romanzo autoconclusivo è davvero difficile. Di qualunque cosa si tratti. Esaurire in un solo volume le descrizioni, gli usi e i costumi, la politica di un pianeta, di un mondo post-atomico, di un universo controtendenza, è davvero complesso. Nel mio caso, sarebbe stato possibile se avessi ambientato il tutto in un solo luogo. Il fatto che la storia si svolga, invece, in due realtà completamente diverse, all'interno delle quali si trovano altre realtà secondarie, ha chiarito rapidamente che un solo libro non mi sarebbe bastato. Non ho avuto molte alternative.
Sinceramente, non ho ancora pensato a cosa ne farò. Non so se proverò a mandarlo a qualche casa editrice - uhm - o se sceglierò l'autopubblicazione - uhm -. Al momento l'emozione della creazione cancella il tormento sul fatto che è un genere che fa fatica. Perché è un fantascienza, e qui perdo un enorme fetta di lettori, ma è anche un romance, e quindi ne perdo un'altra marea. Di conseguenza, non ho nemmeno pensato a come farlo uscire. Pubblicarne uno alla volta o accorparli dividendo il tutto in "libro primo", "libro secondo", "libro terzo"?
Ma queste 600/700 pagine, poi, chi se le legge?
Boh.
Ma queste 600/700 pagine, poi, chi se le legge?
Boh.
M.
Ammiro davvero la tua tenacia.
RispondiEliminaIo volevo scrivere fantasy. Volevo, volevo, volevo. Un fantasy diverso, definiamolo "umanistico". Quindi non solo fantasy in un paese con pochi lettori fantasy, ma uno che sarebbe stato di nicchia anche nel mondo anglosassone. Il risultato è stata un'evoluzione contraria alla tua. Un romanzo. Zero possibilità di pubblicarlo. Invece che andare avanti con storione, mi sono ridotta. Le storie si sono condensate in racconti. Invece che saldare quel romanzo in una saga, le parti prima (e in misura minore dopo) si sono frammentate in racconti. E, come ben dici, è difficile raccontare un mondo altro in un solo romanzo, ti lascio immaginare in un racconto...
Quindi sappi che hai la mia massima ammirazione, oltre tutto il romanzo rosa è al momento la nicchia più sicura, in termini di vendite, per uscire da lì e affrontare la fantascienza ci vuole tanto, tanto coraggio. Ti auguro ogni successo (e voglio leggere queste tue storie al più presto)
Oh. Grazie. In realtà non so se avrò questo coraggio. Attualmente, però, non riesco a fare a meno di scriverlo. -.-
EliminaIo voglio leggere i tuoi fantasy!
Secondo me se questa storia ti ha "illuminato" tuo malgrado forse devi seguire l'illuminazione e concluderla e pubblicarla, una società distopica post atomica potrebbe essere oggi più attuale che mai. Per il discorso sulle trilogie, sappi che io pensavo che non avrei mai letto una trilogia, poi ho letto tutta di seguito la quadrilogia della Ferrante, quindi come vedi mai dire mai. Forse dovresti pensare più alla tua storia e non al lettore (come dice Marco Freccero) anche perché se scrivi pensando troppo a cosa può piacere al lettore rischi di bloccarti. E poi i lettori sono davvero tanti e variegati. Quindi continua a scrivere e quando lo avrai finito non tenerlo nel cassetto ma pubblicalo. Non vorrai mica lasciarci con la curiosità *_*
RispondiEliminaMentre scrivo non penso ad altro che a scrivere, e a come cambino le cose strada facendo. È alla fine di ogni tomo che mi vengono i dubbi sul lettore. :D
EliminaGrazie Giulia. :)