sabato 2 agosto 2014

Cosa mi è passato per la mente?

Sebbene sia sabato mi sono svegliata alle 6.50. Quando è suonata la sveglia di D. alle 7, ho iniziato a rotolarmi nel letto. Prima sono scivolata dalla sua parte, poi sono tornata dalla mia. Mi sono messa in orizzontale e ho guardato il soffitto, sono tornata in verticale e ho posizionato la testa in fondo al letto. Mi sono voltata verso la finestra, dopo verso lo specchio (sono un po' vanitosa e sì, lo sono anche di prima mattina) e infine verso la porta. Alle 7.34 ho deciso di alzarmi perché la mia mente non riusciva a pensare ad altro. Il blog.
Dopo il libro, sul quale rifletto per la maggior parte della mia giornata non-lavorativa e non-affettiva (pause di vario genere, spostamenti, momenti in cui si dovrebbe dormire), adesso ci si è messo pure il blog. Ma quanto mi piace averne uno! Non so cosa scriverci, non so come farlo, non so se qualcuno lo leggerà mai e soprattutto non ho idea di come far sapere alla gente che ne ho uno. Sono ancora nella fase in cui se lo cerco su Google non lo trovo. Non ci sono. Cavolo. 

La verità è che sono una delle tante, tantissime persone che scrive un blog. E sono anche una delle tante, tantissime persone che ha scritto un libro. E l'Italia è uno di quei paesi che ha più scrittori che lettori. Cosa mi è passato per la mente?
Niente. Non ci ho proprio pensato. Io senza leggere e scrivere, semplicemente, non ci so stare. È una necessità, un bisogno. Ho capito quanto fosse importante leggere a dodici anni, quanto lo fosse scrivere a diciassette. Leggevo la notte, leggevo nei break a scuola (forse era questo uno dei motivi per cui non ero 'sto gran fenomeno), leggevo al mare, leggevo quando ero con le amiche, quando guardavo la televisione. Leggevo tragedie greche, romanzi rosa, thriller, grandi classici, narrativa contemporanea, romanzi storici. Tutto questo già a quindici anni. 
Anche a scrivere ho iniziato a dodici anni, ma era un gioco. Non significava così tanto. La cosa fondamentale era leggere, il resto non contava. Ma ad un certo punto, quando la mia vita ha preso una piega sbagliata, anche scrivere è diventato qualcosa di imprescindibile. A diciassette anni non uscivo di casa senza il mio quaderno. Non era più il quadernino rosa, a fiori, che mettevo nella borsa e che facevo uscir fuori nei momenti liberi solo per dar sfogo alla mia inventiva. Era un quaderno brutto, grigio e piccolo, dalle pagine già ingiallite, che stringevo al petto e che aveva la penna inserita per essere usato al momento del bisogno. E il momento del bisogno era quasi perenne. Non potevo non farlo. Scrivere era diventata l'ancora di salvezza, era quella cosa che mi tirava fuori dal casino in cui ero finita. Era il modo migliore per affrontare il mostro adolescenziale con cui avevo fatto amicizia.
Insomma, scrivere e leggere erano parte di me. Non c'era altro da dire. Ci sono cresciuta.
Ed è inutile che mi chieda cosa mi è passato per la mente. Scrivere un libro quando così tanti lo fanno, tenere un blog quando ne è pieno il mondo. 
Leggere e scrivere sono parte di me. Non c'è altro da dire. 
Appurato ciò, devo capire come far funzionare questo blog e come far leggere il mio libro. 
Lo farò tra dieci minuti. Adesso devo fare colazione.

M.

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