giovedì 12 marzo 2020

Racconto - "Dipende da te"

In queste giornate un po' così, in cui il tempo di dilunga e i pensieri si accavallano, ho pensato di trasferire alcuni racconti di Wattpad qui. Piccole storie, piccole emozioni, un piccolo dono fruibile da tutti per fare un sorriso e leggere qualcosa senza impegno. 
Ho deciso di iniziare da qui, da Emma, una marmellata, e la capacità innata di immaginare cose che non esistono. 
Buona lettura! E se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate e come trascorrete queste strane, stranissime giornate. 


DIPENDE DA TE 
Di solito è così che funziona. Ti svegli la mattina con la voglia di stringere le palpebre e nasconderti dietro il cuscino. O sotto le coperte. Se il senso dell'onore prende il sopravvento, è possibile fare lo sforzo di arrivare alla finestra ed eclissarsi con la tenda.
A me succede spesso. Perché?
Tanto per cominciare, odio il mio lavoro. A seguire, le bollette da pagare e il vicino di casa che si lamenta della mia auto parcheggiata vicino al suo garage.
Ma non sarebbe tanto orribile se con il risveglio non tornasse la consapevolezza. Quella graffiante e annichilente consapevolezza che l'uomo che amo si è preso una pausa.
Quando si prende una pausa non si fa mai per prendere una pausa. La verità è che non si è capaci di lasciare l'altro per mancanza di qualcosa. Palle, vorrei dire. Tuttavia mi rendo conto che non è solo quello. Manca il coraggio, che, detto in altre parole, è comunque palle.
Sembra che il mondo non ne voglia sapere di smettere di girare intorno a quelle. Le palle.
Ma è chiaro che c'è dell'altro. Forse l'abilità di staccarsi da un pezzo di vita che è stato nostro. Che ci è stato donato. Un dono.
Il mio mi è appartenuto per tre anni, l'ho bevuto e mangiato come cibo. Si chiama Sebastiano.
Sebastiano è la mia metà. La metà della mela. Della pesca. Della banana. Vista da tutte le sue angolazioni. E da tutte le posizioni.
Sebastiano era ciò che mi componeva.
Non che da sola non fossi composta, solo che lui rendeva la sfera più rotonda, il quadrato più definito, il triangolo più tagliente. Rendeva la marmellata soda, la cioccolata nel barattolo cremosa, la cucina provvista di un'isola.
Un dono che Antonia ha leccato via, come una lingua su un cucchiaio. Antonia La Stronza. Che nome, Antonia. No, ok, non ce l'ho con le Antonia.
«Antonia», dico ad alta voce, poi mi stropiccio gli occhi.
Sto parlando da sola. Non ho nemmeno un gatto. Sto parlando al vento. All'aria.
La sveglia suona e mi trovo costretta ad alzarmi. Con la faccia impiastricciata di trucco e il naso che cola. Perché la verità è che voglio restare a casa a piangere. Una bolla di muco. E così che potrei diventare se l'allarme non mi ricordasse di alzare le chiappe e di mettermi in movimento.
Mi alzo, accendo la luce, e in un susseguirsi di sfighe succede questo: il mio mignolo si frantuma contro lo stipite della porta mentre corro per agguantare il cellulare che squilla e che per la fretta cade a terra. Ricomincio a piangere e con gli occhi gonfi e lacrimosi premo un pulsante a caso che è il verde.
«Emma?
La mia bocca si abbandona a un paio di soffi, i miei occhi cercano di visualizzare il nome sul telefono, superando l'incrinatura dello schermo. 
«Emma, tutto ok?»
Se-ano, leggo. Il vetro protettivo si è spaccato dove dovrebbe comparire il nome del chiamante. Il mio chiamante. Il mio dono. Sebastiano.
«Emma, ci sei?»
Deglutisco e sorrido, come se potesse vedermi. «Ehi», blatero. Non lo dico. Quello che esce dalla mia bocca non è un dire, quanto piuttosto un blaterare.
«Ehi.»
Gli occhi si riempiono di lacrime.
«Sono due giorni che ti chiamo. Perché non rispondi?»
La verità è che se fossi stata padrona di me stessa non avrei risposto nemmeno adesso. Non avrei parlato mai più alla mela che si è fatta mangiare da Antonia. 
È una mela con il buco. E il bruco. Peloso. 
Il bruco sarebbe Antonia, anche se dal punto di vista anatomico la cosa funziona poco.
«Cazzo, Emma, mi fai preoccupare!»
Arriccio la fronte e mi massaggio il naso. Con gli occhi sbircio l'ora sull'orologio e inizio a entrare nel panico perché farò tardi al lavoro.
«Mi spieghi che succede?»
«Farò tardi.»
«Per dove?»
Increspo la fronte. «Il lavoro.»
«Emma, è sabato», sospira. «Ok, devo aver sbagliato qualcosa. O tu hai sbagliato qualcosa. Mi spieghi cosa è successo?»
«Sabato?»
«Sabato. È sabato. Sono partito giovedì sera e da allo...»
«Sebi aspetta, suonano il campanello», borbotto. Mi alzo, claudicante, e apro la porta. Il vicino sfonda palle – sempre lì siamo – mi guarda in modo strano. Sorride.
«Mi scusi se la disturbo, volevo solo dirle che...»
«Devo spostare la macchina, lo so.»
«No, no», dice lui muovendo le mani davanti al viso. «Non c'è bisogno. Solo che io e mia moglie abbiamo fatto la marmellata, sa, abbiamo raccolto le more ed erano tante, quindi stamattina ci siamo messi al lavoro, un po' troppo presto, a dire il vero, e abbiamo preparato un sacco di barattoli. La vuole?»
«È avvelenata?»
«Come?» chiede lui. Abbassa la testa e mi fa vedere i vasetti. Sono bellissimi. C'è un'etichetta colorata, tappi di stoffa, nastri di cotone. Mi sembra di sentirne il sapore. Vorrei perdermi in immagini bucoliche di me che vivo in una casa immersa nel verde degli alberi e nell'oro del grano, mentre raccolgo frutta e saltello da una parte all'altra con un cestino tra le mani, ma devo rispondere.
«Ha avvelenato la marmellata e tenta di uccidermi?»
Sebastiano, dall'altra parte della cornetta, ride come un pazzo. Stringo gli occhi e nascondo il telefono dietro la schiena.
«Sta bene?» domanda.
«Me lo chiede per essere sicuro che la sua marmellata funzioni?»
«Cosa?»
«La marmellata avvelenata», ripeto.
Mi guarda scioccato mentre un rumore di passi rimbomba per l'androne. Mi volto per vedere chi è e il mio cuore strimpella aree classiche e sinfonie teatrali.
Sebastiano. Barba lunga, valigia alla mano, sorriso che ammalia, cellulare tra le dita.
«Buongiorno», dice rivolto al vicino.
«Buongiorno», balbetta lui. «Avevo portato della marmellata ma...
«Marmellata alle more!» esclama Sebastiano, «la nostra preferita», dichiara all'avvelenatore. «Grazie.» Si abbassa, raccoglie i vasetti e si gira per baciarmi. Un bacio senza veleno, pieno di noi.
Non saluta il dirimpettaio. Mi spinge dentro casa, butta a terra la sua sacca, appoggia la composta di more e chiude la porta. La mia parte multitasking è stata data in dotazione tutta a lui.
Si avvicina e mi prende il viso tra le mani. «Emma, stai bene?»
La mia fronte si arriccia, la mia testa dice no.
«È per l'altra sera?»
L'altra sera, quando ha detto che Antonia ci provava. Antonia La Vacca. Antonia.
Chiude gli occhi. «Ok, ok, parliamone.»
Si toglie il giubbotto e torna davanti a me. «Quanto mi sei mancata! Non facevo un viaggio di lavoro da una vita.» Mi dà un altro bacio sulle labbra. È come miele.
«Non mi sono lavata i denti», confesso triste.
«Che hai?» È triste anche lui. «È per Antonia?»
Mi appoggio contro il muro. «È per la pausa», rispondo.
«Quale pausa?»
«La tua.»
La sua fronte assomiglia a un materassino da spiaggia, tutto onde e verde mela. «Di che pausa parli?»
«Di quella che ti sei preso.»
Fa un respiro profondo e chiude gli occhi. «Tu sei la donna più pazza che io conosca. Sei paranoica, visionaria e per niente realista, lo sai?»
Annuisco. Non posso dire il contrario. Sono tutto ciò che ha detto, e anche di più. Soprattutto quando ho il ciclo. Se ho il ciclo, il mio intero sistema razionale va a puttane. È come se ci fosse un virus che fa impazzire ciò che dovrebbe rimanere stabile rendendomi emotivamente incapace di essere. Come adesso.
«E sei anche la persona più divertente che conosca. Se solo fossi un po' meno pessimista, saresti perfetta.»
«È per questo che preferisci Antonia?» Ricomincio a piangere. Un rubinetto aperto. Una fontana senza chiusura.
Lui scoppia a ridere. «Sono davvero un coglione. Non devo mai, mai dirti certe cose in quei giorni.»
Questi giorni, sono questi. È ora che i miei ormoni gridano "naufragio" e che il mio corpo urla "al mio segnale, scatenate l'inferno".
Ride di più e mi bacia. «L'altra sera ti ho detto che Antonia, questa mia nuova collega, mi tampina. E che mi dà fastidio. Ho detto che non capisce che sono cotto di un'altra.»
«E che volevi una pausa.»
«Da lei.»
«Da me. Lo hai detto e poi te ne sei andato.»
Si porta le mani sul viso, le stringe sulla bocca. «Ho detto che se continuava avrei dovuto prendere una pausa dal suo ufficio, solo che mentre lo dicevo mi è squillato il telefono e sono dovuto scendere di corsa perché il mio capo era qui sotto. E da allora non hai più risposto.»
Ho il viso così corrucciato che potrei usare le linee di espressione per scriverci gli accordi di una canzone.
«Stai piangendo per questo?»
«No», rispondo. E piango.
Ride e mi bacia.
Le lacrime aumentano e insieme a loro arriva il singhiozzo. «Non mi sono lavata i denti», farfuglio ancora.
Sebastiano sorride e mi abbraccia. «Vuoi fare colazione?»
«Come?»
«Marmellata avvelenata e pancakes. Li preparo mentre tu ti lavi, ti calmi e torni la mia donna. La donna di cui sono innamorato. Quella che due o tre giorni al mese sbrocca, perde la bussola e diventa il pessimismo fatto a persona.»
Alias: un incrocio tra satana, Pollon e uno yogurt senza zucchero.
Sorrido. Nonostante tutto. Il mignolo grida vendetta, il telefono proclama sciopero, e io sorrido.
Faccio una doccia veloce, muovo lo spazzolino tra i denti, mi metto un vestito a modo e collego i pezzi. In fase di ricondizionamento alla ragione, torno da lui. «Mi dispiace.»
Sebastiano mi guarda e mi inonda di sé. La mia metà. Il mio mondo. Ciò che mi rende perfettamente rotonda.
«Scema», mi apostrofa. «Perché sei così scema?» chiede con un grande sorriso.
Mi stringo nelle spalle e gli vado vicino. A ogni passo, divento consapevole di quanto le cose non dipendano dalle cose.
Dipendono da te. Da come le vedi. Da quanto decidi di essere arrabbiato con l'universo.
Arrabbiato e deluso. Come se ti remasse contro.
Ed è allora che lo bacio. E che metto un dito dentro il vasetto di marmellata avvelenata.
Ma questa è un'altra storia. 

8 commenti:

  1. Divertente!! una ventata di freschezza in queste giornate "pesanti".Grazie! Azzurrocielo

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    1. Grazie a te di essere passata, di aver letto e commentato! ^_^
      L'idea era proprio quella di "alleggerire", sono contenta se ha funzionato! <3

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  2. Ciao Monica, avevo già letto questo tuo racconto, che è davvero molto carino :-)

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    1. Grazie mille, Ariel! *_*
      Sì, era uno dei racconti già pubblicati in precedenza, sto pensando di riportarli, piano piano, sul blog per renderli leggibili a tutti! <3

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  3. Molto carino il tuo racconto Monica!
    In questi giorni il tempo oscilla tra lavoro (finora sto andando al lavoro, dalla prossima settimana alternerò con il telelavoro) casa e supermercato...sono preoccupata, ma speriamo bene.

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    1. Capisco, Giulia. Questo è uno dei momenti più delicati che ci siamo trovati a vivere. <3
      Sono contenta che ti sia piaciuto! ^_^

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  4. Fantastico, un raccontino delizioso!!!
    Mi sembra già di conoscerli, Emma e Sebastiano 😍😍😍.

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    1. Grazieee! *_*
      Felice che sia arrivato nel modo giusto! <3

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