mercoledì 29 luglio 2015

Innamorarsi ai tempi della crisi... compie un anno!

Caldo. Caldo. Caldo. C'è un altro modo per esprimere l'afa che ci avvolge? Che siano ossequiate le angurie, i meloni, le granite e l'acqua fredda. I gelati. I ventilatori. Il vento che scende dalle montagne. L'aria condizionata. L'estate. Perché anche se fa caldo è magicamente magica.
Estate. Estate 2015
E l'estate 2014? Che è successo nell'estate 2014? Dai. Dai che lo sapete. Dai, dai.
Oggi. Solo che parliamo dell'anno scorso. Dai, dai. 
Ok, ve lo dico. 
Oggi, 29 luglio, è il compleanno di Innamorarsi ai tempi della crisi.
Yeeeeeeh. 


Ma si festeggia un libro? Non saprei. Ha senso? 
Qualunque sia la risposta, io festeggio. Un anno fa mi sono buttata e oggi, dopo dodici mesi, vorrei... non lo so. Che faccio? 
Per il librino nuovo c'è da aspettare ancora un po', dunque che tipo di festeggiamento potrei inventarmi?

Ho tenuto in considerazione l'idea di organizzare un giveaway ma con quanto costa Innamorarsi ai tempi della crisi non mi sembrava sensato. Probabilmente la maggior parte della gente che mi segue lo ha comprato, proprio perché costava meno di un caffè. Chi non lo ha fatto non ha la minima intenzione di sapere di cosa parla. E poi... giveaway. Ma che è? Va bene, so cos'è ma... sarei in grado di organizzarlo? NO. Quindi possiamo andare avanti.
Dato che non vi ho mai spiegato ben bene perché il prezzo fosse così basso, ne approfitterò quest'oggi.
Sappiate che non era per farlo comprare a tutti a prescindere dai gusti. Non era per sminuire il mio lavoro. Non era per renderlo accessibile a chiunque (sì, un pochino sì). 
Il vero motivo è che era il primo. Ma anche che: non sono ricorsa all'editing; era corto; non ho avuto costi ulteriori oltre a quello dell'inserimento sulla piattaforma in cui ho scelto di metterlo; non volevo darmi delle arie. Non sapevo dove sarei arrivata, se sarebbe piaciuto. Era un esperimento, sia l'autopubblicazione sia lo stile in cui era stato scritto. Troppi dubbi, troppe insicurezze. Desideravo capire se ne valesse la pena. Se scrivere, se creare cose non totalmente comuni, se permettere ad altri di leggermi avesse senso. Se dovessi continuare. 0.99 centesimi erano giusti per un esperimento di un'esordiente che si è lanciata nell'editoria digitale da sola. Un po' a caso. E sono contenta della scelta che ho fatto. Sono molto contenta di com'è andata. 

Ma allora, visto che non ho organizzato un giveaway, visto che non ho pubblicato un nuovo libro, visto che non ho offerto una granita a tutti quelli che hanno letto la storia di Dafne, che faccio?
Semplice. Ho scelto di dirvi chi sono. 
Ehi, oh, questa cosa non mi diverte nemmeno un po' (sto ghignando mentre lo scrivo), ma tanto prima o poi avrei dovuto farlo, e siccome non so quando lo dovrò fare ho deciso di farlo oggi.  - Aggiungerei agli elementi da omaggiare anche il verbo fare di cui ho ampiamente abusato nella frase precedente. - Sono tutte cose che ho già detto qua e là ma mai in modo chiaro, e mai tutte insieme.
In breve: festeggerò aggiungendo al blog una paginetta che parla di me. Yuppidu.
Nome, anno e foto. Eh sì, foto. Avete capito bene. Speriamo che nessuna delle persone che mi conosce e che non sa che scrivo libri e che ho un blog, incappi in questa pagina, o in questo sito. In questo spazio, insomma.

Concludendo... tanti auguri a Innamorarsi ai tempi della crisi. Tanti, tanti e taaanti auguri. 
Grazie a tutti gli emmosi che lo hanno letto. Se qualcuno non lo avesse ancora fatto...


M.  

venerdì 24 luglio 2015

Sotto il sole del Mediterraneo

Sarà che prima viaggiavo. Almeno una volta all'anno, più spesso due, facevo un valigiotto, o una valigiona, e partivo. 


Essendo una giovinotta, non potevo permettermi di attraversare il pianeta da una parte all'altra perché il solo biglietto aereo sarebbe costato quanto due delle mie vacanze abituali, quindi mi muovevo nelle vicinanze. Europa, Mediterraneo. A voler essere pignoli: le mie preferite. La passione per l'antichità, specialmente per il mondo greco e romano, era saziata. Per un po'. Per qualche giorno. Per qualche mese. Non certo per anni.
Eppure, per cause di forza maggiore, ho smesso di scoprire il mondo fuori dal Belpaese quattro anni fa. Non so dirvi quanto mi manca. Passeggiare per le strade di Madrid, bere un caffè greco in un kafenion ateniese (la mia povera Grecia!), guardare le guglie di Praga, farmi infeltrire i capelli dalla pioggerella inglese, passeggiare dentro il Louvre, toccare la sabbia del Sahara, ascoltare la così complessa lingua ungherese. Partirei ora, per ovunque. 


In questi quattro anni ho avuto però la fortuna di muovermi in Italia, di scoprire le bellezze tanto osannate e sempre poco vissute. E ho scoperto l'Abruzzo, il Lazio, il Veneto, la Lombardia, la Sicilia. Quanta meraviglia!
Tuttavia non basta. Non basta mai.
E quest'anno, quest'anno che avrei/avremmo potuto prendere e mollare tutto, partire e respirare il profumo di un piatto sconosciuto, ascoltare le parole di un idioma cantilenante, vedere panorami dalle forme più svariate, quest'anno... io e D. siamo costretti a rimanere a casa. Perché? Perché a scuola c'è stata un'epidemia di gravidanze e i pochi rimasti devono coprire tutto il periodo in cui le madri saranno impegnate con i neopargoli. Il che significa, probabilmente, fino a ottobre. Yuppi, yuppi, yuppidu. Balli e canti di gioia si scatenano ogni giorno intorno alle scrivanie a partire dalle 8.30. 
...
Parlando seriamente, vi lascio immaginare quanto ho imprecato in queste settimane. Quanto ho sperato che per qualche inaspettato motivo le cose cambiassero. Quanto ho sofferto all'idea di non poter staccare nemmeno un giorno. Nemmeno uno. Perché dato che lavoriamo con gli stranieri, con gente che viene qui in vacanza, siamo aperti pure il 15 agosto. Io, i miei colleghi e i nostri studenti alla disperata ricerca di un bar aperto che faccia il caffè alle otto del mattino - quel giorno in centro apre tutto tardi. Macchecc...avolo.
Questa mancanza è, ed era, tale da farmi perdere in luoghi lontani, in paesi remoti, con la sola forza della mente. La fantasia. Il ricordo. 
E così la letteratura da viaggio mi ha conquistata.  
Ordunque. Se anche voi, come me, pensate che viaggiare sia una tra le cose più belle in assoluto, dovete leggervi Sotto il sole del Mediterraneo.  

Quando si viaggia, chi ci accompagna è importante quanto la bellezza della meta che ci attende. Facendo base nella "sua" Toscana, Frances Mayes guida il lettore attraverso la penisola iberica, la Francia e molti paesi della fascia mediterranea: Turchia, Grecia, Nordafrica e anche altre parti d'Italia. L'incontro di culture dell'Andalusia, la cucina del Portogallo. A Mantova - la città dei Gonzaga, ma anche quella in cui Romeo attende notizie di Giulietta scopre un luogo perfetto in cui vivere. Le pagine sulla Borgogna sono un pellegrinaggio letterario; quelle dedicate a Fez, città simbolo del Marocco, un'appassionata esplorazione. Ovunque vada, prende in affitto case come una persona del luogo, fa acquisti nei mercati, vagabonda per i vicoli, ritrova le atmosfere dei libri più amati. Ovunque approdi, contempla l'idea di casa. In Grecia ripercorre il classico itinerario omerico attraverso l'Egeo, a Creta soggiorna in una casupola di pietra grande come una scatola da scarpe immersa nella buganvillea, poi si inoltra nel remoto Mani. In Turchia, a bordo di un caicco, naviga lungo le celebri coste, visita i siti archeologici più suggestivi, si immerge nella magia delle città bizantine. Una celebrazione del peregrinare, dei piaceri inattesi che sorprendono in punti impensati del cammino.
La cara Mayes e io ci conosciamo da diversi anni. In effetti il primo libro da lei scritto che ho letto è stato il famosissimo Sotto il sole della Toscana. Me lo regalò D. e me lo mangiai in pochissimi giorni. Il fatto che raccontasse la storia di una città così vicina alla mia, facente parte della provincia della mia, mi conquistò. Un po' meno lo fece lo strano modo che aveva l'autrice di raccontare noi italiani. Ma oggi... da quando ho iniziato a fare il lavoro che faccio ci ho preso talmente tanto l'abitudine che non mi sconvolge troppo. Dal "ma voi cantate mentre mangiate?" - ma certo! Di continuo! Non vedete al ristorante che cori intoniamo? - al "mangiate la pizza 4/5 volte a settimana, vero?" - ovviamente! Ecco perché siamo tutti obesi! - sono diventata quasi insensibile alle strane visioni che hanno di noi. Salvo quella della siesta. La siesta, per la miseria, la fanno in Spagna e basta.


Sotto Il sole del Mediterraneo aveva un fascino conosciuto, quello del movimento, della conoscenza, della curiosità. La copertina mi invitava e il modo di scrivere dell'autrice mi risuonava nelle orecchie. La capacità che ha di raccontare le cose che vive, il cibo che mangia, gli odori che sente, è spettacolare. E allora me lo son letto non una volta, bensì due. E queste due letture se le è meritate tutte. 
I luoghi che visita sono i miei, quelli che amo di più, quelli dove vorrei tornare. E mentre leggo di ciò che ho visto, mentre sento gli occhi pizzicare per la voglia di partire e tornare lì, si fa avanti un altro desiderio. Quello di andare dove non sono mai stata. Di scoprire le meraviglie del Sud America, i templi del Giappone, la muraglia della Cina, gli spazi sconfinati del Nord America, le notti bianche di San Pietroburgo. 
Questa donna è proprio brava. E io/noi abbiamo troppa voglia di partire.

M. 

mercoledì 15 luglio 2015

Nascondersi agli occhi dei più

Già immagino il pomeriggio assolato causa ondata di caldo che avanza e l'appiccicosità che si deposita su ogni cosa. Di ritorno da un fine settimana marittimo condiviso con gli amici - che ha provocato a tutti uno smisurato trauma da rientro -  il lunedì mattina è stato terribile. Lividi sugli avambracci da partitone di beach volley, risveglio senza fila per il bagno che, a dispetto di ciò che si potrebbe pensare, ha intristito un po' tutti, scambio di messaggi giornaliero - lavoro permettendo - per ripercorrere la Due Giorni da poco finita. 
Ora, mentre tutti parlano di vacanze, di ferie e di magnifiche mete da scoprire io me ne sto qui, al caldo, a lavorare. A sudare. A fare lavatrici. A pensare... 

...Non volevo, e non vorrei, che la gente sapesse che scrivo. Questo perché La Gente, intesa come branco di umanoidi che si affanna e si barcamena nella quotidianità - quindi, semplicemente, la gente - , ha sempre uno strano modo di approcciarsi alle notizie.
Tanto per cominciare, non mi piace che La gente pensi che le storie che racconto sono autobiografiche. A stare a vedere, sarei dovuta essere un vampiro, un mostro, una ragazza bella e geniale, una ragazza strana - questo potrebbe anche essere - e via dicendo. 


Non voglio che al lavoro i "miei utenti" dimentichino chi sono confondendolo con ciò che scrivo. O che mi guardino in modo diverso perché produco scritti più o meno piacevoli. 

Di fondo, è la mia riservatezza a fare scelte come queste. Nemmeno la timidezza, perché in un certo modo quella riesco a metterla da parte. Come al lavoro, quando mi costringo a comunicare, o in situazioni in cui i convenevoli sono obbligatori anche se vorrei nascondermi dietro una siepe, o infilarmi nel primo tombino a disposizione.
La riservatezza, invece, è più difficile da camuffare. Per questo l'idea di un blog mi è sempre sembrata assurda. Cosa avrei avuto da raccontare, visto che nemmeno nella vita vera racconto qualcosa? Sono, in effetti, una di quelle persone che sorride senza dire molto. Che domanda senza argomentare le risposte alle curiosità altrui. Bene, tutto regolare, sì sì, e tu?

E invece qui è così facile parlare... non che dica cose portanti, ma chiacchiero tanto. Più del niente che del tutto, ma chiacchiero lo stesso.

Quando ho autopubblicato Innamorarsi ai tempi della crisi, l'ho detto a una decina di persone. Poi, nel giro di qualche tempo sono arrivata a una quarantina. Tra queste ci sono:
- D. - chiaramente
- genitori - chiaramente
- S. e Sab.
- amici strettissimi
- parenti strettissimi
- amici
- un paio di ex compagni di università
- una negoziante e sua figlia - che nemmeno hanno fatto cenno di aver capito di cosa parlassi. 

Qualcuno lo ha detto a qualcun altro e alla fine credo che siano arrivati a saperlo in 50.  
Tra questi non ci sono compagni di classe né di università. Tuttora non lo sanno. E io vorrei tanto che non lo scoprissero mai, ma non sono sicura che la cosa sia attuabile. 
Seriamente: non è proprio realizzabile.

M. B. era un buon modo per proteggersi, per nascondere Monica agli occhi dei più.

Ora che so che tra poco M.B. diventerà completo, visibile, reale, inizio a sentirmi strana.


Ma lo so che è giusto che succeda. Io per prima quando leggo un libro voglio sapere chi l'ha scritto. Mi piace capire chi c'è dietro la storia, che tipo di lavoro svolge, quanti anni ha, che tipo di vita fa. Quindi so di dover comunicare qualcosa in più, qualcosa più dei semplici deliri che strotolo sul blog. Ma non è facile. Non lo è perché tutti quelli che non sanno che scrivo potrebbero arrivare a saperlo. Non lo è perché dire che sono io rende il tutto meno avventuroso. Non lo è perché devo parlare seriamente di me. Raccontare davvero qualcosa di me. Non solo che ho la febbre, che mangio la Nutella o che divento rossa. Ma chi sono, cosa faccio, cosa penso.

Uhm. Che cosa bizzarra. Dovrò iniziare a farci l'abitudine.

Monica detta M. 

P.s. - Non so perché ve lo dico, ma lo farò lo stesso. Condividerò con voi che... qualcuno intorno a casa mia sta facendo un soffritto di aglio e cipolla a quest'ora del giorno. Aiuto. Aiuto. 
Aiuto. 

mercoledì 8 luglio 2015

Quando una storia annienta l'altra

Siete tutti al mare, nevvero? Me ne sono accorta.
Io, invece, confusa dal desiderio dell'acqua marina che mi arrotola i capelli in strani rasta, della sabbia che si appiccica alla pelle, dalle serate con gli amici, dalle coccole sotto le stelle, insomma, confusa dall'estate, sono incappata in un problemuccio non indifferente. 
Il fantascienza/distopico è bloccato.
 

Fermo al secondo capitolo. Con secondo capitolo mi riferisco al seguito del primo libro che, già bello scritto e completato, aspetta i suoi successori. Beh, sono arrivata a metà e mi sono fermata. Nella mia testolina da qualche settimana gira una storia che non ne vuole sapere di mettersi da parte. Ci ho provato, ho tentato di dare più importanza ad altro, ho cercato di chiuderla in una stanzetta per riprenderla in seguito ma non riesco a vincere la battaglia, e, suppongo, non otterrò risultati migliori con la guerra.
La trama di quest'ultimo, un nuovo romance, è nata da un'idea, una chiacchierata, e quando ha identificato i personaggi si è costruita da sola. La sera prima di andare a dormire, la mattina appena sveglia, mentre lavo i piatti o sistemo la lavastoviglie, mentre mangio, mentre leggo un libro. A volte l'ho dovuta chiudere da qualche parte perché la storia si imponeva su tutto il resto.
Io sono turbata. Tanto per cominciare sono turbata dalla violenza con cui La Storiella - chiamerò così questa trama che ormai ha preso forma e che sembra invocare la sua stesura - si è imposta. A seguire, sono turbata da come il fantascienza sia stato surclassato. Ma insomma, come si permette? È un progetto a cui lavoro da due anni, ormai, con pause di mesi e mesi, ed ero così soddisfatta. Mi sembrava di aver imbastito una realtà talmente particolare da meritare di essere raccontata. Eppure è ferma lì. La realtà e pure i suoi personaggi.
Forse non mi sto impegnando abbastanza. Dovrei semplicemente sedermi e darmi da fare, senza farla tanto lunga. Ma non ci riesco. Perché La Storiella è un tarlo. Lo è la protagonista, lo è il protagonista, lo è il luogo in cui vuole essere ambientata, lo è la storia che li lega e li tiene lontani. 


Come si fa in casi come questi a dare un ordine alla propria mente? Perché se mi metto al lavoro con il fantascienza ho paura di dare ai protagonisti, molto caratterizzati per via della realtà che si trovano a vivere, le peculiarità di un uomo e una donna che sono semplicemente umani. Però, se aspetto, se lo metto da parte, rischio di fare il danno del primo romanzo che ho scritto nella mia vita: portarlo a termine quando il tema è già stato sviscerato da tutti, compresi autori degni di collane di fiori, corone d'alloro e coppe d'oro traboccanti nettare degli dei. E non posso, proprio non posso fingere che la saga sia completa solo con il primo capitolo. È una saga. Saga. E il romanzo, come già detto, non è autoconclusivo perché quei simpaticoni di personaggi hanno deciso, contro la mia volontà, di fare quello che gli pareva alla fine. Fine.
No, su. Non ho molte alternative. Devo lasciare a La Storiella tutto lo spazio che vuole. Il rischio di amalgamare caratteri e vite è troppo pericoloso.  

Approfitto di questo post, cari emmelettori, per comunicarvi che oggi sarò ospite del magico blog di Grazia, Scrivere È vivere. Saltello da una parte all'altra da quando lo so. 
Il suo, oltre a essere uno dei miei blog preferiti, è anche il primo in cui ho iniziato a depositare commenti infischiandomene della mia timidezza. Non è da poco, no? Tutto merito di cotal donna.
Tra le altre cose troverete una mia foto. Non vi esaltate/preoccupate troppo, mi si vede solo di lato in un selfie che tentava di ritrarmi con un'espressione buffa. Il risultato è che sembro una sbarbina. Prima o poi mi deciderò a metterne una più seria (uhm... non ne sarei tanto sicura) anche qui.  

M. e la storia annientata 

giovedì 2 luglio 2015

Il magico potere del riordino

Lo ammetto. Mi ha stregata. Senza alcuna riserva.
Marie Kondo sta tormentando tutto il mio sistema casalingo.
Prima che io vi dia qualche informazione in più, vi prego, guardate cosa fa. 


Ma perché ve ne parlo? Giusto, giusto.
Il mese di giugno sul piano lavorativo è stato delirante. Tornavo a casa così stanca, ogni giorno, da non riuscire a fare niente. Aspettavo il sabato per fare le lavatrici, a malapena riuscivo a passare il panno aspirapolvere, e mi trascinavo da una stanza all'altra. Questo succedeva, e succede tutt'ora, per molte ragioni. La prima è che sono una ciofeca vivente. Mi stanco dopo mezzo secondo, ho la pressione bassa e gli integratori funzionano a giorni alterni - magari perché mi dimentico di prenderli? Il secondo è che è stato un mese veramente denso, e quindi parte della mia nullafacenza era comprensibile. Ma solo una parte. Una piccola parte. Esistono donne che avrebbero supplito alle loro mancanze la notte. Io me ne sono fregata e la sera piuttosto che sistemare casa sono uscita, mi sono sparaflashata - spara...che? - qualche serie tv sul divano o, depositata tra il sofà e il pouf, ho letto qualche libro.
Ma il senso di colpa si faceva sentire perché i vestiti da stirare si accumulavano. Allora mi sono fatta fregare da un tizio che in tv parlava di questa grande rivelazione, un bestseller internazionale: Il magico potere del riordino

La giapponese Marie Kondo ha messo a punto un metodo che garantisce l'ordine e l'organizzazione degli spazi domestici... e insieme la serenità, perché nella filosofia zen il riordino fisico è un rito che produce incommensurabili vantaggi spirituali: aumenta la fiducia in se stessi, libera la mente, solleva dall'attaccamento al passato, valorizza le cose preziose, induce a fare meno acquisti inutili. Rimanere nel caos significa invece voler allontanare il momento dell'introspezione e della conoscenza
Ormai avrete capito che tendo ad esagerare un po'... quindi la mia casa era abbastanza ordinata e normopulita, ma... non sono riuscita a resistere. Mi ci sono fissata. E poi volevo farmi un regalo per aver superato - anche se le soddisfazioni non sono state molte - questo intenso periodo lavorativo, e l'ho comprato. Mossa, lo ammetto, dal debole per il Giappone. Questa mia debolezza è nata circa otto anni fa al lavoro a causa del fatto che ho a che fare con un discreto numero di giapponesi che negli anni mi ha sempre fatto qualche regalo. Quindi, qua e là, ho origami a forma di gru, borsellini, fermacapelli, sacchetti, penne e quaderni di Hello Kitty, e addirittura due yukata (una specie di kimono estivo e informale) che mi/ci sono stati regalati per il matrimonio. Sono meravigliosi, ma non abbiamo mai compreso come sistemare le cinture e capite bene che le indicazioni in lingua giapponese non ci illuminano. Ogni tanto apro la scatola e li fisso, terrorizzata all'idea di spostare anche solo un angolino.
Prima che vi chiediate che strano lavoro faccio per avere a che fare con tanti giapponesi in una città toscana quale quella in cui vivo, ve lo dico io: insegno italiano agli stranieri - mi pare che settimana dopo settimana la mia maschera da supereroe venga sempre meno-.

Insomma, Marie Kondo aveva tutta la mia attenzione, e ho divorato il suo libro. 
Non sono certo un'accumulatrice seriale. Non faccio pile di materiale. Non ho così tanti vestiti. Insomma, non sono l'utente giusto, eppure mi è piaciuto tantissimo. Non condivido alcuni suoi pensieri o talune sue scelte di vita, tipo quella di tenere solo 30 libri in casa, ma dato che esclude dal riordino libresco i ricercatori e gli scrittori, non posso lamentarmi troppo. Se per scrittori intende scriventi, io sono salva. 


Quello che fa, da brava maniaca del riordino, è cercare di convincere il suo lettore che esiste un solo modo per sistemare una volta per tutte la propria casa e che tutto ciò con cui ci relazioniamo, dai documenti ai vestiti, dai calzini agli accessori di qualunque tipo, ha una sorta di anima. Dobbiamo ascoltare ciò che abbiamo in casa e capire cosa dobbiamo tenere e cosa dobbiamo buttare. Dove si debba gettare tutta questa roba in più non l'ho capito, ma non è di questo che parla il libro (io ho scelto di dare i vestiti in beneficenza ma non mi do ancora pace sul resto...).
Immagino che non sia destinato a tipi come me ma a quelli che non buttano via niente e che vivono nel caos, tuttavia è stato illuminante. Mi ha risvegliato dal torpore della lavoratrice-ciofeca e mi ha portato a pulire tutta la casa in mezza giornata - sì, lo so, sono lenta come una tartaruga. Poi ho dovuto prendere una doppia dose di integratori perché pensavo che non sarei riuscita ad alzarmi dal pavimento per un mese e mezzo, però mi ha lasciato soddisfatta.
Ecco, se anche voi vi fate affascinare da questo popolo incredibile, se anche voi siete ordinati ma vi piace pensare di non esserlo, se anche voi avete voglia di leggere qualcosa di diverso, buttatevi tra le braccia di Marie Kondo. È favolosa. Una fatina orientale. Una Mary Poppins dagli occhi a mandorla. Un generale dal sorriso dolce. 
Secondo me, ci fregherà tutti. Con quell'aria ingenua sarebbe capace di riordinare pure l'Italia.  
Magari, eh?

M.