Avevo già fatto presente l'idea che scrivere un libro è solo il primo, piccolissimo passo. Fino a quando scrivevo per me stessa non era così. Scrivere era l'unico passo. Finire una storia, finire un libro, era già un'opera degna di onorificenze di tutti i tipi. Quando riuscii a terminare, dopo circa otto anni di lavoro, l'urban fantasy su cui lavoravo fin da ragazzina, sentii di aver raggiunto un grande risultato. Era solo il primo della saga e mi ci erano voluti anni per terminarlo, ma mi sembrava di aver compiuto un atto eroico. La corona d'alloro non bastava. Volevo la carrozza trainata dalle fatine e la coroncina più bella del reame.
Credo che quel testo non vedrà mai la luce. Povero lui, e poveri tutti quei bei personaggi. Rileggendolo oggi lo trovo, a tratti, un po' noioso. Prima ero molto più attratta dalle descrizioni, a differenza dei tempi attuali per cui leggerne di così lunghe e dettagliate mi fa arricciare il naso, cosa che mi riesce bene visto che ha una punta insolita. Come se non bastasse, storie come la sua erano, e sono state, raccontate da molti in modi eccezionali, per cui oggi mi pare quasi banale, anche se la trama è così complessa da chiedermi come diavolo sono riuscita a pensarla in quel modo. Il primo, quello compiuto, era la storia della madre. Il secondo, scritto a metà, quello della figlia e il terzo sarebbe dovuto essere la degna conclusione di una così lunga avventura pregna di dolore e misteri. Scelsi di inviarlo ad alcune case editrici, le grandi case editrici, e alcune più piccole specializzate nel genere, alla fine del primo. Durante la stesura del secondo, capii che non avrebbe ottenuto ciò che sognavo.

Chi lo ha letto lo ha trovato bello, intenso e ha anche aspettato il continuo ma io avevo ormai voltato pagina. Non alla scrittura, non al genere, ma a quella storia. Non avevo ancora pensato concretamente al self-publishing e non credevo che lavorare su un libro significasse così tante cose.
L'ho scoperto un anno fa, con la prima pubblicazione, e poi di nuovo un paio di mesi fa, con la seconda. Da sprovveduta qual ero, pensavo che la storia di un libro, la mia relazione con esso, finisse con la stesura. Al resto ci dovevano pensare gli altri. Alla giusta scelta del titolo, all'editing, alla scrematura. E poi alla pubblicazione. E dopo al marketing e alla promozione. Insomma, mi basavo su un sentito dire che prevedeva un lavoro immane da parte della casa editrice.
Con l'autopubblicazione si sono aperti scenari nuovi: lavorare su un libro non significa solo scriverlo ma anche, e soprattutto, farlo crescere. Scegliere il titolo, scegliere la copertina, eliminare l'eliminabile, aggiungere ciò che serve. E poi scegliere la piattaforma di pubblicazione, inserirlo, decidere il prezzo, pubblicarlo. E dopo trovare il modo di promuoverlo, di farlo conoscere, di farlo arrivare dove dovrebbe arrivare.
L'ultimo è arrivato insieme a una M. editorialmente cresciuta (dai, ridete tutti insieme a me!), rispetto agli inizi, meno ingenua e più concreta (uhm), ma anche impreparata, immobile di fronte a ciò che non sapeva. Una M. che per evitare di infastidire troppo, dopo le paranoie dei primi due giorni, ha smesso di fare domande ed è stata a vedere come andava (proprio una geniA).
In questo secondo caso, mi sono occupata del prima - scriverlo - e del dopo - promuoverlo - , lasciando la parte centrale agli altri. Scoprire che quasi niente è stato modificato è stata una piacevole sorpresa. Il fatto che il mio prodotto arrivasse ai lettori così come era stato creato, dopo attente analisi, mi sembrava meraviglioso. E facile. Oh sì, facile. Perché mi toglieva da un sacco di impicci quali dubbi, pensieri, domande, ansie. Aveva eliminato tutta quella parte che con il primo mi era sembrata insormontabile. Perché il lavoro su un libro, volenti o nolenti, prevede:
- un'idea e il suo sviluppo
- la stesura e la/le sua/sue revisione/i
- l'editing
- la scelta del titolo e della copertina, la creazione della quarta di copertina
- la pubblicazione
- la promozione
- la paranoia.
Le prime due appartengono solo agli autori e sono la magia più grande. L'ultima forse appartiene un po' a tutti, ed è una perversa ed elettrizzante agonia. Il resto no, o non del tutto.
Per Il mio supereroe, le uniche cose che non ho seguito per niente sono state l'editing e la pubblicazione. Avevo scelto il titolo prima di inviarlo; la quarta di copertina è stata il risultato di un lavoro combinato e lo stesso vale per l'idea grafica e la promozione. La paranoia, come la stesura, era, ed è, solo mia.
Ecco, non ne avevo idea. E non so se sia così con tutte le case editrici o solo con alcune. Però è chiaro, chiarissimo, che scriverlo, un libro, è solo il primo passo. Poi c'è tutto il resto.
Voi lo sapevate?
In attesa che delle fatine steampunk mi trasformino in una principessa/scrittrice strafiga, vi saluto.
M.